mercoledì 5 agosto 2020

Accoglienza


Esistono parole che frequentemente utilizziamo senza averne la piena coscienza del suo significato e delle sue più alte accezioni. Una di queste è “accoglienza”.

Un sostantivo la cui etimologia si rintraccia nel latino co-ligere: cogliere; co - insieme e legere - raccogliere.

L'accoglienza è un'apertura: ciò che così viene raccolto o ricevuto viene fatto entrare - in una casa, in un gruppo, in sé stessi.

Accogliere vuol dire mettersi in gioco, e in questo esprime una sfumatura ulteriore rispetto al supremo buon costume dell'ospitalità - che appunto può essere anche solo un buon costume. Chi accoglie rende partecipe di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l'altro diventando un tutt'uno con lui. E anche se l'accoglienza di un vecchio amico siciliano può parere aliena rispetto all'accoglienza del conoscente giapponese, rimangono il medesimo fenomeno, diverso solo perché diverse sono le persone e le culture e il loro modo di aprirsi, il loro modo di fare entrare.

Così possiamo accettare che non esiste un'accoglienza assoluta o universale. Ma solamente la propria accoglienza.

Accoglienza nel suo significato più alto e puro non può che esprimersi ed esercitarsi sul piano emotivo. Accoglienza piena potrà concretizzarsi solo ed esclusivamente quando saremo in grado di riconoscere, interpretare e accettare tutte le emozioni nonostante la loro diversità e le loro sfumature, siano esse positive o negative, dentro e intorno a noi.

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