“Vediamo il mondo in maniera errata e diciamo che esso ci
inganna.” - Rabindranath Tagore
Molto spesso diamo alle cose un significato: il nostro.
Disegniamo una immagine e la incolliamo a ciò che ci circonda. Pensiamo e ci
convinciamo a tal punto da farlo diventare realtà. Il processo però poi si
esaspera fino a completamente dimenticare e non considerare che tutto è frutto
della nostra cognizione. Formiamo giudizi e viviamo emozioni sul contingente da
noi instaurato. Poi quando malauguratamente si rivela diverso dalla nostra
congettura viviamo la frustrazione dell’inganno. La delusione cocente di una
realtà che non rispetta quelle prerogative che noi gli abbiamo imposto. E
questo avviene in diverse forme e dimensioni. Avviene nelle aspettative che
riponiamo nelle cose e nelle relazioni. Ma la domanda che dobbiamo porci è: la
mia visione è corretta? Ho dato alla cosa il suo significato oppure le ho dato
il mio? Posso davvero sentirmi offeso da qualcosa o qualcuno che io
pensavo essere diversa/o? Possiamo consapevolmente dare una responsabilità a
quel “pesce che non sa arrampicarsi sugli alberi”?
Ogni giorno viviamo stati psicofisici condizionati dalle
nostre congetture. Accettare l’inganno significa accettare la vita, accettazione
consapevole dell’imponderabile evento quotidiano. Un esercizio utile a diminuire responsabilmente le angosce è l’apertura:
allenarsi ad abbandonare la soggettività e cambiare le prospettive in visioni
agili. Levare le ancore del preconcetto irremovibile, del punto fermo, della
verità assoluta. L’apertura riconosce la mutevolezza della realtà, delle
relazioni, del flusso vitale.
Apertura alla conoscenza, alla curiosità della “menzogna”
come strumento di formazione e crescita, apertura come disinnesco dell’inganno,
apertura senza giudizio ma bensì come rivelazione.
Inganno è dare un senso alle cose, verità è scoprirne il
loro senso.
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